20 GENNAIO – “Bach e Haendel, l’assoluto e il quotidiano” – 1° Festival di Musica Barocca

Direttore: JAN ZARZICKI
Violino: DAVIDE ALOGNA

Prima Edizione
Festival di Musica Barocca

Giovedì 20 Gennaio 2022 – ore 17.30
Villa Nobel – Sanremo

Violino: DAVIDE ALOGNA
Direttore: JAN ZARZICKI

Programma:

Johann Sebastian Bach
Concerto in la minore per violino e orchestra, BWV 1041
Allegro -Andante – Allegro assai

 Georg Friedrich Händel
Concerto grosso in mi min op. 6 n. 3 HWV 321
Larghetto – Andante – Allegro – Polonaise: Andante – Allegro ma non troppo

Johann Sebastian Bach
Concerto in mi magg per violino e orchestra, BWV 1042
Allegro – Adagio – Allegro assai

La maggior parte delle opere strumentali di natura secolare di Johann Sebastian Bach (1685-1750), come ad esempio i Concerti Brandeburghesi, le Suites per violoncello, la Partita per flauto e le Suites per orchestra, risale al periodo della sua permanenza a Köthen, dove rivestiva la carica di maestro di cappella presso la corte del principe Leopoldo, squisito intenditore di musica e musicista egli stesso. Tale predilezione per la musica strumentale profana è dovuta alla fede calvinista del mecenate, la cui liturgia concedeva alla musica un ruolo estremamente limitato. In questo contesto Bach, che oltretutto poteva disporre dell’ottimo violinista di corte Joseph Spiess, rivolse un’attenzione particolare al violino, sia come strumento concertante nelle composizioni orchestrali, sia come solista. Nacquero così negli anni di Köthen, fra il 1717 e il 1723, le sei Suites e le Partite per violino, le Sonate per violino e basso continuo, ed anche un imprecisato numero di Concerti per uno o più violini e orchestra – la maggior parte dei quali oggi perduta – giunti fino a noi nelle trascrizioni per uno o più cembali che Bach effettuò negli anni lipsiensi, in cui era alla guida del Collegium Musicum fondato da Telemann (1681-1767). A differenza dei Concerti brandeburghesi, rispondenti a criteri formali, stilistici e strumentali di volta in volta diversi, i Concerti per violino che ascolteremo questa sera costituiscono un blocco omogeneo dal punto di vista dell’organico strumentale, della forma tripartita (Allegro – Adagio – Allegro) e dello stile, ascrivibile alla tradizione del concerto barocco italiano. Diversamente dal più tardo concerto classico viennese, basato sul concetto di sviluppo progressivo generato da precisi rapporti tonali e da una dialettica tra i temi, alla base del concerto barocco si pone l’idea tipicamente seicentesca della simmetria architettonica: i molteplici materiali musicali, presentati tutti inizialmente dall’orchestra e riproposti identici a sé stessi nei ritornelli, si alternano in modo regolare agli interventi del solista che, con una scrittura molto ornamentata derivante da un’originaria pratica improvvisativa, ne esplorano ed illuminano le possibilità di elaborazione. La ripresa letterale del ritornello iniziale completa il movimento con un percorso circolare. Bach, profondo conoscitore del concerto barocco italiano così come era stato elaborato alla fine del ‘600 da Alessandro (1673-1747) e Benedetto Marcello (1686-1739), Giuseppe Torelli (1658-1709) e Antonio Vivaldi (1678-1741), di cui conosceva l’edizione a stampa de L’Estro Armonico op.3, fonde nei suoi Concerti le caratteristiche del modello italiano con l’elaborazione contrappuntistica di tradizione tedesca.

Al perentorio ed energico incipit orchestrale del Concerto per violino e archi in la minore BWV 1041, seguono altre quattro idee melodiche meno discontinue, a partire dalle quali si organizza l’intero movimento. Il violino solo ripropone la frase iniziale dell’orchestra elaborandola in una linea melodica molto fiorita che si espande verso l’acuto, alla quale seguono fluide sequenze di progressioni. L’interazione tra orchestra e solista crea un fitto tessuto contrappuntistico. L’Adagio centrale, in un sereno do maggiore che contrasta con il modo minore dei due tempi veloci, si rifà all’adagio cantilena anch’esso di derivazione italiana. Il solista traccia una struggente linea melodica ispirata ai virtuosismi delle opere vocali barocche, che si staglia sulla pulsazione regolare dell’orchestra, una figurazione ostinata nel registro grave dall’incedere lento e solenne. Il finale, Allegro assai, di nuovo in minore, è costruito su un vivace ritmo ternario di giga in forma di fugato. Il compatto tema orchestrale si alterna al più frastagliato motivo del solista, che mantiene il ritmo di giga ed elabora il materiale musicale in maniera più libera rispetto all’Allegro iniziale, fino a giungere alla ripresa del tema, in una fusione tra la rigorosa forma della fuga e quella del concerto.

Nel Concerto in mi maggiore KWV 1042 l ’incipit dell’Allegro, sul modello del concerto italiano di Vivaldi ed Albinoni, rompe il silenzio con un gesto tanto semplice (un arpeggio ascendente sui gradi principali della scala maggiore) quanto incisivo, che il solista riprenderà accompagnato da un controsoggetto orchestrale. Il rapporto tra orchestra e solista, basato su giochi di contrasti dinamici in cui i brevi interventi del violino solo hanno una funzione piuttosto concertante, è quasi di collaborazione piuttosto che di contrapposizione. La cantabilità violinistica predomina nell’Adagio, ispirato di nuovo a forme vocali. La linea melodica sinuosa e ipnotica cambia carattere continuamente, e gli abbellimenti, sorretti da una scansione regolare dell’orchestra, non ornano una melodia soggiacente ma sono essi stessi melodia. Il Concerto si conclude con un Allegro assai, costruito su una scrittura fugata e su un ritmo di giga (che Bach usa molto spesso nei suoi concerti), in cui il ritornello orchestrale ritmicamente molto scandito è inframmezzato da interventi solistici via via più virtuosistici.

E passiamo alla presentazione del concerto grosso di G.F. Haendel. I dodici Concerti dell’op. 6 per orchestra d’archi e basso continuo furono scritti da Haendel in poco meno di un mese, tra la fine di settembre e il 20 ottobre del 1739, nello stesso periodo in cui apparvero le vigorose composizioni oratoriali del Saul e dell’Israel in Aegypt. Questi lavori, insieme ai sei Concerti grossi op. 3 per due flauti, due oboi, due fagotti, archi e basso continuo, costituiscono il contributo più importante e significativo di Haendel alla letteratura del concerto grosso di stile barocco che si richiama principalmente all’esempio di Arcangelo Corelli, un musicista conosciuto dall’autore del Messiah nel corso del suo primo viaggio in Italia (1709) e da lui molto stimato. Però lo schema della sonata da chiesa che Corelli trasferisce al concerto, basato sull’orchestra d’archi a quattro voci in contrapposizione ad un piccolo gruppo solistico, assume in Haendel forme più elaborate e robuste, sia nei movimenti di maggiore vivacità armonica e sia nei passaggi più articolati sotto il profilo contrappuntistico. L’austerità pensosa del modello diventa più calda e vigorosa nella linea solenne delle ouvertures e nel virile accento ritmico degli allegri, mentre si avverte un lirismo più intenso nei momenti distesi, un’arguta stilizzazione nei tempi di danza e una sottile vena malinconica nelle cullanti siciliane.

Lo strumentale, che si articola in due gruppi – il tutti chiamato anche «ripieno» e il «concertino» – denota una indubbia abilità e sicurezza di orchestratore nel musicista sassone, che ebbe sempre vivo il senso della costruzione architettonica realizzata con ricchezza e varietà di armonie e alternando lo stile chiesastico all’operistico e al madrigalesco. Non per nulla è stato detto che Haendel, pur tenendo presente la lezione del contrappunto tedesco, ha sentito l’influsso della musica settecentesca del nostro paese con il suo sensualismo coloristico e descrittivo, allorché nella sua lunga permanenza in Italia venne a contatto con quelle bellezze naturali, popolari, e d’arte che egli non avrebbe mai più dimenticato.

Questo italianismo si respira anche nel Concerto grosso in mi minore, in cui spiccano soprattutto i tempi allegri per il loro luminoso splendore strumentale. L’interesse maggiore del concerto risiede nel contrasto tra i movimenti lenti e quelli vivaci (in mezzo si può ammirare una elegante Polonaise), espressi con quello stile concitato così tipico del linguaggio barocco e tutto proteso a realizzare un clima musicale di solare serenità, come avvertì a suo tempo lo stesso Goethe che parlò di Haendel come di un genio mediterraneo.