31 MARZO – “Musiche di scena per un dramma”

Il Direttore: FRANZ SCHOTTKY con il Pianista ANTONIO DI CRISTOFANO

Giovedì 31 Marzo 2022 – ore 17.00
Teatro dell’Opera del Casinò di Sanremo

Pianoforte: ANTONIO DI CRISTOFANO
Direttore: FRANZ SCHOTTKY

Programma:

Stefano Teani
Riflessioni di uno specchio
– prima assoluta –

ROBERT Schumann
Concerto in la minore
per pianoforte e orchestra, op. 54

Jean Sibelius
Pelleas e Melisande op. 46
Suite per orchestra

NOTE ILLUSTRATIVE

 

Il concerto si apre con una prima assoluta, “Riflessioni di uno specchio” del compositore e direttore d’orchestra lucchese Stefano Teani, che si è perfezionato con artisti quali Azio Corghi, Girolamo Deraco e vanta importanti collaborazioni su cui spiccano quelle con Riccardo Muti e l’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino.

“Una via di mezzo tra Sinfonia, concerto e grande sonata”: così Robert Schumann definiva la sua intenzione creativa a Clara Wieck in una lettera del 24 gennaio 1839. “Sinfonia” per l’importanza della scrittura orchestrale, “Concerto” per la struttura in tre movimenti, “Grande Sonata” per la centralità del pianoforte. Era quella l’idea da cui sarebbe scaturito, qualche anno più tardi il Concerto in La minore per pianoforte e orchestra op. 54. L’altro concetto cardine era la volontà di non scrivere un concerto biedermeier, ovvero nello stile di moda nella prima metà dell’ottocento, in cui il virtuosismo del pianoforte è sostanzialmente l’unico centro di interesse. Nella stessa lettera, infatti, Schumann affermò: “ Mi rendo conto che non posso scrivere un brano per virtuosi e devo piuttosto rivolgere le mie riflessioni in un’altra direzione”. Schumann era anche un critico musicale e nei suoi articoli emerge l’insofferenza verso il virtuosismo fine a se stesso. Nonostante la chiarezza di intenti, la stesura del Concerto per pianoforte fu piuttosto travagliata e occupò l’autore dal 1841 al 1845: in un primo tempo Schumann scrisse una “Fantasia Concerto”, ma gli editori tedeschi non vollero pubblicare il lavoro, così egli si convinse ad aggiungere un secondo e terzo movimento, in modo da ricostituire la struttura di un tradizionale concerto solista. Tuttavia il Concerto di Schumann si discosta dalla concezione beethoveniana basata sulla dialettica tra solista e orchestra, ma è “sostanzialmente un pezzo pianistico con accompagnamento orchestrale trasparente e leggero che riprende qua e là le melodie cantabili del pianoforte” (M.Mariani).

Il dramma simbolista Pelléas et Mélisande (1892) di Maurice Maeterlink (1862-1949) ha attirato l’attenzione di grandi compositori non solo francesi. La versione più nota è quella di Claude Debussy, ma anche Gabriel Fauré, nel 1898, scrisse musiche di scena ispirate al dramma e nel 1902 fu la volta di Arnold Schönberg. Ultimo, in ordine cronologico, fu il finlandese Jean Sibelius che nel 1905 scrisse le musiche di scena per il Teatro Svedese di Helsinki. La vicenda, ambientata in un medioevo leggendario, pone al centro l’amore contrastato tra Pelléas e Melisande, che ha sposato Golaud, fratellastro di Pelléas. Nel realizzare la Suite delle musiche di scena, Sibelius punta su un organico cameristico e su sonorità trattenute e molto particolari. La suite è composta da nove pezzi, ciascuno con una combinazione strumentale diversa. Il primo brano si intitola “Alle porte del castello”. Protagonista è il corno inglese, che intona una melodia lenta e solenne. Il secondo brano è dedicato alla protagonista femminile, Melisande. Questa volta spicca il suono del corno inglese, accompagnato da violini e viole. Il tema è malinconico, dolente, a tratti cupo. Segue “In riva al mare”, un breve episodio dal carattere misterioso, evocativo, con un climax nelle battute conclusive. La strumentazione, pur sempre ridotta, si arricchisce con ottavino, due clarinetti e grancassa. “La fontana nel parco” è un valzer che rappresenta l’innamoramento dei due protagonisti. È la prima “oasi” serena, anche se solo a tratti, infatti nel dramma di Maeterlinck la scena corrispondente è quella in cui Melisande lascia cadere nella fontana l’anello che le aveva regalato Golaud e l’inquietudine della musica appare come un presagio dei drammatici sviluppi della vicenda. Il corno inglese torna protagonista ne “Le tre suore cieche”. Nella “Pastorale” l’impasto timbrico di legni e archi trasmette un senso di calma e serenità, in netto contrasto con “Melisande all’arcolaio”, in cui un insistito “ronzio” delle viole (sulle note Fa diesis – Sol) fa da sfondo ai passaggi inquieti degli strumenti a fiato. L’Entr’act è l’unico brano della Suite dal carattere nettamente allegro, anche se c’è una sezione malinconica in tonalità minore. La Suite termina con “La morte di Melisande”, una triste elegia dedicata alla sfortunata protagonista, ferita mortalmente dal geloso Golaud.

Riccardo Crespi