7 maggio – “Il Destino e il Viandante”

Direttore: CEM MANSUR
Pianoforte: FILIPPO FAES

Sabato 7 Maggio 2022 – ore 21.00
Teatro dell’Opera del Casinò di Sanremo

Pianoforte: FILIPPO FAES
Direttore: CEM MANSUR

Programma:

Elvira Muratore
“Zephir”
Prima Assoluta

Franz Liszt
Fantasia in do maggiore “Wanderer-Fantasie” S 366
Trascrizione per pianoforte e orchestra della Wanderer-fantasie, op. 15 di Franz Schubert

Ludwig van Beethoven
Sinfonia n 5 in do min op 67

Incontrando oggi il viandante (der Wanderer) di Schubert

“Was vermeid’ ich denn die Wege

Wo die anderen Wandrer geh’n,

Suche mir versteckte Stege

Durch verschneite Felsenhöhn? 

(…)

Weiser stehen auf den Strassen,

Weisen auf die Städte zu, 

Und ich wandre sonder Massen,  

Ohne Ruh’, und suche Ruh’. 

Einen Weiser seh’ ich stehen  

Unverrückt vor meinem Blick;

Eine Strasse muss ich gehen,

Die noch Keiner ging zurück

“Perché evito le vie

percorse dagli altri viandanti,

e cerco sentieri nascosti

attraverso balze innevate e rocciose?

(…)

Vedo segnali lungo le strade,

che indicano le città,

e io (invece) vago senza requie,

senza pace, e cerco pace.

Ora vedo un segnale,

fisso davanti a me,

devo percorrere una via

da cui nessuno è mai tornato indietro”.

Franz Schubert: “Der Wegweiser” (Il segnale stradale)
da “Winterreise”
(Viaggio d’inverno) Poesie di Wilhelm Müller
1826,
nel tempo della Restaurazione austriaca di Klemens von Metternich

“’Cause we are living in a material world
And I am a material girl”

“Perché noi viviamo in un mondo materialista,
e io sono una ragazza materialista”

Louise Veronica Ciccone, nota come “Madonna” Popstar americana,
1984, nel tempo della “Restaurazione” americana di Ronald Reagan

Un poeta oggi non può essere felice, perché il suo tempo non vuole nulla da lui”

(Nikolaus Lenau, poeta austriaco contemporaneo di Schubert)

“Rows and floes of angel hair

And ice cream castles in the air

And feather canyons everywhere

I’ve looked at clouds that way

But now they only block the sun Ma ora,

They rain and snow on everyone

So many things I would have done

But clouds got in my way

I’ve looked at clouds from both sides now

From up and down, and still somehow

It’s cloud illusions I recall

I really don’t know clouds at all

(…)

I’ve looked at life from both sides now

From up and down and still somehow 

It’s life’s illusions I recall 

I really don’t know life at all

Righe e banchi di capelli d’angelo

E castelli di gelato nell’aria

E canyon di piume ovunque

Ho guardato le nuvole in quel modo

Ma ora, bloccano soltanto il sole

Piovono e nevicano su tutti

Quante cose avrei fatto

Ma le nuvole mi hanno ostacolato

Ora ho guardato le nuvole da entrambi i lati

Dall’alto e dal basso, e ancora in qualche modo

Sono le illusioni delle nuvole che ricordo

Davvero, non so nulla delle nuvole

(…)

Ora ho guardato alla vita da entrambi i lati

Da sopra e sotto, eppure, in qualche modo,

Sono le illusioni della vita che mi restano

Davvero, non so nulla della vita”

(“Both sides now” (1967) Joni Mitchell, cantautrice canadese / statunitense.)

Gli uomini non cambiano, la Storia si ripete.

Musica e poesia tracciano un diario interiore dell’uomo, una sorta di narrazione parallela che sommessamente affianca il racconto delle battaglie, delle vicende dei re, dei generali e degli uomini illustri, ma non per questo è meno rivelatrice. Anzi… Musica e poesia ci raccontano l’approccio affettivo, le reazioni profonde e spesso inconsce degli uomini di fronte allo svolgersi delle vicende terrene che si trovano ad affrontare, di cui sono testimoni, o protagonisti, o vittime.

Nei brani citati qui sopra, sia Schubert / Müller che la popstar Madonna si trovano davanti al “pensiero unico” di un‘epoca in cui le ideologie sono tramontate, e con esse i sogni, realistici o utopici che fossero, di un cambiamento possibile.

Tutti e tre guardano ad un mondo divenuto materialista, dedito all’arricchimento personale senza scrupoli né limiti.

La situazione è simile, ma la loro reazione è opposta.

Schubert / Müller dicono: “tutti vanno in una direzione (tutti seguono i segnali stradali che indicano le città, i luoghi degli uomini…) ed io, solo, dichiaro la mia diversità e m’incammino nella direzione opposta”.

La popstar Madonna, invece, dice: “tutti vanno in una direzione; ed io mi adeguo, felice di essere uguale alla maggioranza”

Al tempo di Schubert, di Lenau e della Restaurazione di Metternich, le ideologie libertarie, di uguaglianza e fratellanza dell’Illuminismo, poi deflagrate negli eventi della Rivoluzione francese del 1789 e nell’epopea napoleonica, erano state sconfitte simbolicamente a Waterloo e al Congresso di Vienna (1814/15) o, più realisticamente, spazzate via e ridotte al ruolo di fantasie di sognatori ai margini della società (come il Leiermann, il suonatore d’organetto mendicante schubertiano) dall’arricchimento individuale, sfrenato e di pochi, che la Rivoluzione industriale portava con sé; sicuro sprone a votarsi a un sano, cinico realismo in cui prevale il più forte, costi quello che costi.

Anche al tempo degli esordi della popstar Madonna, la ventata di illusioni degli anni ’60 accesa in America dai Kennedy* da Martin Luther King, dalla beat generation che faceva riferimento a Kerouac, a Ginsberg, al Festival di Woodstock… poi deflagrata nella “Rivoluzione” studentesca del 1968 era tramontata, sciogliendosi in una “Restaurazione” di cui il cosiddetto “edonismo reaganiano” era fatto di individualismo, neoliberismo senza più freni, e un generale “liberi tutti” in cui i più forti prevalgono a spese dei deboli, senza più la protezione di ideologie egualitarie.

 

*Per chi non lo conoscesse, raccomando l’ascolto del discorso che Robert Kennedy tenne alla University of Kansas il 18 Marzo 1968
(meno di tre mesi dopo sarà assassinato) a proposito del prodotto interno lordo e di come esso condiziona ormai ogni scelta politica dei Paesi.
Profetico a dir poco, ascoltato a più di 50 anni di distanza!

 

Non è un caso che i più importanti cicli di Lieder (da Winterreise di Schubert a Dichterliebe (Amore di poeta) di Schumann…) dei primi decenni dell’800 raccontino in fondo proprio questo, sotto la metafora della fanciulla bella ma cinica e materialista che volta le spalle al promesso sposo poeta, per sistemarsi con un altro, un “buon partito” che le garantisce lusso e sicurezza economica.
Esattamente il soggetto dell’album della popstar.

Per comprendere meglio la figura di Schubert (1797-1828)
nel tempo in cui ha vissuto, è illuminante accostare la sua vita a quella di Beethoven (1770-1827).

Si potrebbe definire Beethoven “l’uomo giusto al momento giusto“: Nel 1789, anno della Rivoluzione francese ha 19 anni ed inizia quindi la sua carriera.

La sua musica, con il suo formidabile anelito etico e morale, è una sintesi dei fermenti intellettuali, letterari e filosofici del secolo più rivoluzionario che l’Europa abbia conosciuto: il ‘700.

Il pensiero illuminista era stato traghettato in Germania da Kant e da Hegel e da altri pensatori.

La sintesi beethoveniana si riflette in un’Europa scossa da nuove idee ed eventi senza precedenti. Napoleone travolge teste coronate come un meteorite (le teste che la Rivoluzione non aveva tagliato…) Napoleone terrorizza, ma anche ispira gli idealisti e lascia prevedere la nascita di una nuova era.

Attraverso l’Illuminismo e la Rivoluzione i francesi si erano trasformati da sudditi a cittadini:

prima sottomessi incondizionatamente alla volontà di un sovrano, buono o cattivo che fosse, ma impossibile da mettere in discussione; ora, cittadini chiamati a costruire un nuovo ordine sociale e un governo, in poche parole, a mettersi in gioco, a farsi artefici del proprio destino.

Le esperienze ardue, spesso contraddittorie, della nazione francese durante la rivoluzione, i tentativi, gli errori, le contraddizioni ricordano in realtà il difficile percorso che un bambino compie crescendo e imparando a farsi carico del proprio destino.

Ogni nota scritta da Beethoven fa risuonare un un formidabile, appassionato appello rivolto all’umanità affinché si impegni per costruire insieme un mondo libero, fraterno. „Gioia, bella scintilla divina…„Tutti gli uomini divengono fratelli, sotto la tua dolce ala…“).

Beethoven inizia a comporre esattamente nel momento in cui queste idee raggiungono il loro apice: è un rivoluzionario in senso sociale, non solo musicale. Crea la figura di un musicista moderno, inventa un nuovo ruolo nella società e, con la sua titanica forza di volontà e le sue idee, riesce a far capire alle persone la sua idea di musicista, affinché la accettino.

Esiste un contratto firmato a Vienna il 1 marzo 1809 dai principi Lobkowitz e Kinsky e dall’arciduca Rodolfo, che garantisce a Beethoven un reddito di 4000 fiorini all’anno. (Beethoven aveva annunciato la sua volontà di trasferirsi in Germania, e i tre nobiluomini volevano che restasse nella capitale austriaca. Vi si legge:

(…) Ma poiché è stato provato che solo una persona il più possibile libera da preoccupazioni materiali può dedicarsi a un soggetto solo, e solo così può produrre opere grandi, sublimi, che nobilitano l’Arte, i sottoscritti hanno deciso di garantire a Ludwig van Beethoven una posizione tale che i bisogni più necessari non lo mettano in imbarazzo e limitino il suo potente genio.”]

Un reddito fisso, dunque: e tutto questo senza obblighi, senza alcuna forma di asservimento, nemmeno con l’obbligo di scrivere un certo numero di composizioni. Rendiamoci conto che innovazione e progresso è stato questo documento per l’umanità! Solo pochi anni prima Mozart era stato trattato come un servitore nella sua posizione presso l’arcivescovo Colloredo!

E Schubert? 

Schubert compie 18 anni nel 1815, anno del Congresso di Vienna.

Sconfitto Napoleone, su invito del principe di Metternich, si riunirono a Vienna gli ambasciatori delle maggiori potenze europee: il duca di Wellington per l’Inghilterra, Il principe Karl August von Hardenberg per la Prussia, lo zar Alessandro I, Talleyrand e le altre teste coronate d’Europa, con l’intento di ristabilire l’equilibrio politico e di potere prima della rivoluzione, spazzare via l’influenza di Napoleone e non correre lo stesso rischio un’altra volta.

Metternich era stato chiamato “il ragno d’Europa” per la sua capacità di tessere una rete di intrighi, di corrompere e avvelenare, di mettere l’uno contro l’altro i sudditi asburgici e le diverse classi sociali, di allevare servilismo e passività politica.

Inizia la Restaurazione: anni bui, in cui la libertà viene negata e ogni nuova idea viene soppressa in divenire. A Vienna le spie della polizia sono ovunque.

La musica e le arti “impegnate” politicamente, divengono allora sospette, pericolose… L’arte deve diventare intrattenimento, svago. È l’epoca dei trionfi di Rossini e dei grandi virtuosi (Paganini, per citarne uno…)

Schubert, che venerava Beethoven come suo irraggiungibile ideale -ma in realtà era partito con una carica innovativa ancora più sconvolgente (se pensiamo che ha scritto Lieder come Gretchen am Spinnrade, oppure Erlkönig a 17 anni, rivoluzionando con essi l’intero genere musicale…) si ritrovò completamente in controtendenza rispetto al corso della Storia, e, di conseguenza, fu quasi completamente ignorato, o misconosciuto dai suoi contemporanei, nel corso della sua breve vita.

L’immaginario poetico Schubert è attraversato sempre più dalla figura allegorica del viandante: il Wanderer” l’uomo che cammina senza fermarsi, che non trova requie, perché non ha più casa nel proprio mondo, è straniero tra i suoi simili (“Straniero” è appunto la prima parola che sentiamo nel primo Lied del “Viaggio d’inverno”).

E nell’ultimo Lied di quel ciclo, il viandante incontra per la prima volta un essere umano, che si rivela essere il suo alter-ego (o Doppelgänger):

Drüben hinterm Dorfe Laggiù,

Steht ein Leiermann

Und mit starren Fingern

Dreht er was er kann. 

Barfuß auf dem Eise

Wankt er hin und her

Und sein kleiner Teller

Bleibt ihm immer leer.

Keiner mag ihn hören,

Keiner sieht ihn an,

Und die Hunde knurren

Um den alten Mann.

Und er läßt es gehen,

Alles wie es will,

Dreht, und seine Leier Gira,

Steht ihm nimmer still.

Wunderlicher Alter !

Soll ich mit dir geh’n ? 

Willst zu meinen Liedern

Deine Leier dreh’n ?“

Laggiù, dietro al villaggio

C’è un suonatore di organetto

Che, con le dita intirizzite

Gira come può la manovella.

A piedi nudi sul ghiaccio

Barcolla qua e là

E il suo piattino

Resta sempre vuoto.

Nessuno lo vuole ascoltare

Nessuno lo guarda

E I cani ringhiano

Intorno al vecchio.

E lui lascia che tutto

Vada come deve andare

Gira, e il suo organetto

Non smette di suonare.

O Vecchio sorprendente!

E se venissi con te?

Suoneresti i miei canti

Sul tuo organetto?

E qui, nella filigrana ghiacciata di quest’apparizione, si rivela anche l’autoritratto di Schubert: “Laggiù dietro al villaggio” (perché “davanti” c’erano Rossini e Paganini…) c’è il vecchio che suona con le dita intirizzite, sul ghiaccio (metafora dell’indifferenza con cui la società viennese aveva accolto la sua musica) … “E lui lascia che tutto vada come deve andare, gira, e il suo organetto non smette mai di suonare” Quale immagine potrebbe essere più appropriata per descrivere le “divine lunghezze” di cui parla Schumann a proposito della musica schubertiana?

Cuore della Wanderer Fantasie, composta per pianoforte solo da Schubert nel 1822, è il secondo movimento “Adagio” che cita il tema del Lied intitolato “Der Wanderer” (o anche “Der Unglückliche”L’infelice) scritto sul testo di Georg Philipp Schmidt von Lübeck nel 1816, là dove esso recita:

Die Sonne dünkt mich hier so kalt,
Die Blüte welk, das Leben alt,
Und was sie reden, leerer Schall,
Ich bin ein Fremdling überall.

Il sole qui mi sembra così freddo,
il fiore appassito, la vita vecchia,
e ciò che ascolto, vuota eco,
Ovunque io sono straniero.

Liszt, nella sua trascrizione, annota: “A mio parere, si deve eseguire l’intero movimento molto lentamente, con pathos e “ab imo pectore” (dal profondo dell’anima, e con grande sentimento)”.

Il metro è dattilico (una lunga e due brevi) uno dei tanti simboli che troviamo nella scrittura di Schubert, di un passo lento, quasi trascinato a fatica.

Lo stato d’animo è assorto, cupo e fatalista; il viandante riflette su di sé e sul mondo, e così facendo si richiude in se stesso. Il mondo intorno a lui pare venir risucchiato all’interno dell’animo solitario ed estraniato. In questo senso, il movimento è in netto contrasto con gli altri tre, nei quali invece il virtuosismo crea un movimento “da dentro a fuori”.
Nell’Adagio, invece, la pulsione è centripeta.

I successivi versi del Lied, in cui il poeta/viandante evoca e brama una sorta di Terra promessa (“dove sei, mio ​​amato Paese, cercato, immaginato e mai conosciuto? La terra, la terra così verde di speranza, La terra dove sbocciano le mie rose” – variazione dell’immaginario goethiano Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn…” “Conosci la Terra dove fioriscono i limoni?” con chiaro riferimento all’Italia) non appaiono nella Wanderer Fantasie, lasciando il posto, in questo secondo movimento, ad una serie di variazioni sul tema principale e unico.

Schmidt von Lübeck non è Goethe, e i suoi versi non raggiungono le altezze di quest’ultimo: eppure, questa poesia e la rappresentazione musicale che Schubert ne ha dato sono assurte a emblema di un disagio esistenziale (o “mal di vivere”) estremamente caratteristico dei primi decenni dell’800 e del Romanticismo. Tutto ciò è stato notato e profondamente compreso da molti illustri commentatori che si sono succeduti: nel Doktor Faustus di Thomas Mann, l”apprendista” Adrian Leverkühn “Cercava invece sempre il genio bifronte, sempre toccato dal soffio della morte, di Schubert, preferibilmente dove questi conferisce la più alta espressione a una fatale solitudine, non ben definita ma inevitabile, come nel grandiosamente bizzarro “Ich komme vom Gebirge her” (Io vengo dai monti) che è l’incipit del Wanderer.

Questi versi e questa musica, insieme a “Kennst du das Land” di Mignon, nel Wilhelm Meister di Goethe sono divenuti paradigmi e capostipiti per la ricchissima serie di storie di viandanti, che percorre l’opera di Schubert.

Il metro dattilico sembra irradiarsi, partendo dal secondo movimento, e proiettarsi indietro e avanti verso altri tre. Anche metro del terzo, che pure è scritto in ritmo ternario, con funzione di Scherzo, ne è una variazione.

Il primo movimento interpreta il metro in senso eroico: il terzo ha un che di demoniaco e paganiniano. Il quarto, fugato, racchiude i temi in una coesione contrappuntistica e di spiccato intento virtuosistico.

Tutti i temi sono collegati tra loro (ovvero sono sottili variazioni di un modello originale) e le loro connessioni sono spesso celate con rara sottigliezza.

Sergio Sablich, ne “L’altro Schubert” afferma che, più che di una Fantasia in senso lirico e virtuosistico, si tratta di una Grande Sonata “camuffata” i cui quattro movimenti si connettono senza soluzione di continuità a un’idea monotematica, come in un poema sinfonico ante litteram, ma per pianoforte: anticipando così di trent’anni giusti l’articolazione della Sonata in Si minore di Liszt che poco prima di scriverla, nel 1851, della Fantasia di Schubert aveva dato una sua trascrizione per pianoforte e orchestra di grande spessore concertistico. 

Schubert dà notizia della composizione della Wanderer in una lettera a Spaun del 7 dicembre 1822 , in cui si legge fra l’altro: «ho finito di scrivere una Fantasia per pianoforte solo, che sta per essere pubblicata con la dedica ad un certo signore molto ricco». Il ricco signore era Emanuel Karl, conte di Liebenberg, proprietario terriero, già allievo di pianoforte del famoso compositore concertista austriaco di origine boema Johann Nepomuk Hummel (1778-1837).

La Wanderer rappresenta appunto il tentativo, attraverso la composizione di un grande pezzo brillante “à la Hummel” di guadagnarsi un po’ di quel successo mondano, sociale (e di quella solidità finanziaria) che ai celebri virtuosi del tempo erano generosamente riconosciuti, mentre a Schubert furono negati.

Il pezzo risultò ovviamente un capolavoro, ma a Schubert mancava quella scaltrezza che i virtuosi del tempo sfruttavano abilmente, ovvero quella di ottenere il massimo effetto con il minimo sforzo, e di far apparire come trascendentali e mirabolanti difficoltà che in realtà risultavano accessibili.

La Wanderer per pianoforte solo, invece, non solo è tremendamente difficile, ma è anche piuttosto ingrata. Ovvero, eseguendola, si ha la costante percezione che il pensiero di Schubert andasse più in là, di quello che le risorse del pianoforte e dell’interprete potessero permettergli di ottenere. Abbastanza significativa, trovo, questa memoria del suo amico Leopold Kupelwieser:

“Un giorno Schubert suonò la Fantasia davanti agli amici, ma nell’ultimo movimento gli accadde di sbagliare e di fermarsi. Allora saltò su dal seggiolino e disse:

“Questa roba deve suonarla il diavolo!”

Ci pensò Liszt, uomo di sterminata, appassionata cultura oltre che virtuoso senza uguali, animato da una devozione generosissima, ricca di intelligenza e di reverente ammirazione verso il collega scomparso prematuramente, a trascrivere la Wanderer per pianoforte e orchestra, riconoscendo il pensiero originale schubertiano, e dandogli nuova vita attraverso il respiro del colore orchestrale.

Non solo: la versione lisztiana, attraverso la contrapposizione solista /orchestra, mette anche in evidenza un aspetto marcatamente dialogico del linguaggio dell’opera, che passerebbe inosservato nella versione per pianoforte solo.

Insomma: se è vero che solo il genio può capire il genio, abbiamo, in questa trascrizione e nelle tante altre realizzate da Liszt, uno degli esempî più profondi e mirabili di altissima , empatica comprensione, oltre che di come si può mettere la propria individualità a completo servizio di quella di un collega profondamente amato, senza che nessuno dei due risulti sminuito, ma anzi, ottenendo un risultato il cui splendore supera la somma delle parti.

Testi a cura di
Filippo Faes

NOTE ILLUSTRATIVE

La trascrizione della Wanderer Fantasie di Franz Schubert ad opera di Franz Liszt è una pagina
travolgente in cui si sommano i talenti di due geniali musicisti. Schubert compose la Fantasia per
pianoforte nel 1822. Si tratta di uno dei brani più virtuosistici di Schubert che, infatti, non era in
grado di suonarla. Dal punto di vista formale Schubert realizza una sorta di sonata ciclica in cui le
quattro sezioni si succedono senza soluzione di continuità, ma ricordano i quattro movimenti di una
sonata classica. Nella seconda sezione vi è la citazione del lied “Der Wanderer” (Il viandante) che
dà il titolo alla Fantasia. Sembra che Schubert quasi avesse voluto scrivere un brano per pianoforte
e orchestra in cui però l’orchestra è “sostituita” dal pianoforte stesso. Questo da un lato potrebbe
aver facilitato il compito di Liszt, il quale ammirava la musica di Schubert, la suonava e la
trascriveva. La
trascrizione risale al 1850 circa ed è assai rispettosa delle intenzioni di Schubert. Sono davvero
poche le aggiunte e le modifiche, l’intervento lisztiano mira a realizzare un Concerto per pianoforte
e orchestra, colmando in qualche modo la “lacuna” nella produzione di Schubert in cui manca
proprio il concerto pianistico. “L’orchestra a volte accompagna il solista, a volte vi si sostituisce
(…) il contenuto di Schubert rimane intatto anche se l’intervento esterno mette in luce voci interne
ed armonie la cui complessità poteva rimanere oscurata dall’unicità timbrica del pianoforte.
Sebbene sollevato da alcune incombenze, la parte del solista rimane comunque molto virtuosistica”
(A. Dicht).
La Sinfonia n. 5 in do minore di Ludwig van Beethoven è una delle pagine più sbalorditive della
storia della musica. Come spesso accade per le creazioni artistiche di questa portata, non mancano
gli aneddoti, specialmente intorno all’ispirazione del musicista. “Il destino che bussa alla porta”,
avrebbe detto Beethoven a proposito del notissimo “incipit”, ma si narra anche che i soldati di
Napoleone che occupavano Vienna e che ascoltarono la Sinfonia, all’inizio del Finale fossero
scattati sull’attenti esclamando: “C’est l’empereur! Vive l’empereur!”, avvertendo il carattere per
certi versi militaresco delle battute iniziali. Al di là delle ricostruzioni più o meno attendibili, è
innegabile che la Quinta Sinfonia stupì gli ascoltatori dell’epoca, che pure erano già stati
“sconvolti” dalla Sinfonia n. 3, “Eroica”. Con la Quinta, Beethoven punta sull’essenzialità dei
materiali tematici. L’incipit (sol-sol-sol-mi bemolle) non è solo un inciso di straordinaria potenza
espressiva, ma diventa anche elemento portante di tutto il primo movimento e, in forme più celate,
anche dei successivi. Ernst Theodor Hoffmann, recensendo nel 1810 la Quinta sinfonia sulle pagine
dell’Allgemeine Musikalische Zeitung, annotò: “Nulla può essere più semplice della frase
principale del primo allegro, consistente in due sole battute, che dapprima all’unisono non dà
all’uditore un tono determinato”. La “semplicità”, l’essenzialità del motivo è alla base della
concezione unitaria della Sinfonia. Curiosamente, quando debuttò a Vienna, il 22 dicembre del
1808, fu presentata come n. 6 e la Sinfonia “Pastorale”, eseguita nella stessa occasione, apparve con
il numero cinque. Prima della pubblicazione, però, Beethoven invertì la numerazione e tale rimase
da allora.

Riccardo Crespi